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2 MILIONI di pagine visitate su telescopedoctor.com

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La scelta e l'impiego delle lenti di Barlow

(con test comparativo di 6 lenti di Barlow "tradizionali")

di Raffaello Braga - agosto 2010


Nel 1834, un ottico ed ex professore di matematica inglese, Peter Barlow, realizzò la prima versione di quella che sarebbe diventata una compagna fedele e insostituibile di ogni astronomo dilettante: la lente (appunto) di Barlow.

 

Il principio di funzionamento di questo accessorio è molto semplice: una lente negativa posta tra l'obiettivo di un telescopio e il suo punto focale ha l'effetto di divergere il fascio ottico e aumentare la lunghezza focale effettiva dell'obiettivo, che viene ad essere moltiplicata per un certo fattore.

Figura 1 - Le Barlow oggetto della prova

 

Le Barlow più comuni raddoppiano o triplicano la lunghezza focale originaria, ma vi sono anche quelle a fattore di amplificazione non integrale.


La lente di Barlow è di solito costituita da un doppietto cementato, con l'elemento convergente rivolto verso l'obiettivo e l'elemento divergente dalla parte dell'oculare.

 

Complessivamente il sistema è negativo e viene posto qualche centimetro prima del fuoco dell'obiettivo, la cui posizione viene perciò spostata verso l'osservatore. Il fattore di amplificazione A della Barlow è dato dalla semplice formula:

 

A = 1+ (D/F)

 

dove F è la lunghezza focale negativa della Barlow (qui presa col segno positivo) e D è la distanza tra il doppietto divergente e la nuova posizione del fuoco. Dalla formula si vede facilmente che per una Barlow 2x, F e D hanno lo stesso valore, che corrisponde approssimativamente alla lunghezza del tubo della Barlow.

 

Il fattore di amplificazione non è però una costante. Quando si usa una Barlow si inserisce un oculare nel tubo fino alla battuta e, muovendo il fuocheggiatore, si sposta l'insieme Barlow + oculare finchè il nuovo fuoco dell'obiettivo viene a trovarsi in corrispondenza del diaframma di campo dell'oculare (field stop).

 

La distanza D, quindi, non è altro che la separazione tra il field stop dell'oculare e il doppietto della Barlow, separazione che si può variare a piacimento in quanto la fuocheggiatura consente di spostare il fuoco in qualunque punto tra la Barlow e il field stop. In pratica variando D, cioè allontanando o avvicinando l'oculare alla Barlow, si avrà anche (per la formuletta di cui sopra) una variazione di A.

 

Lunghe, corte, acromatiche e apocromatiche

Commercialmente le Barlow si dividono in due categorie: Barlow "corte", di lunghezza focale tipicamente compresa tra -5 e -9 cm, adatte per l'uso con i diagonali (prismatici o a specchio) o con telescopi compatti che hanno un'escursione di fuoco limitata, e Barlow "lunghe", con F fino a -14 cm, da inserire preferibilmente direttamente nel fuocheggiatore e che possono richiedere un aggiustamento del fuoco anche considerevole. Con il diffondersi dei rifrattori apocromatici a corto fuoco e in generale di strumenti sempre più compatti, il mercato si è orientato verso le prime, tanto che le uniche Barlow lunghe rimaste in commercio sono le Orion e le Vixen.


Le due categorie di Barlow lunghe e corte si suddividono poi a loro volta in "acromatiche" e "apocromatiche". Il termine apocromatico applicato ad una Barlow vuol dire semplicemente che rispetto alle acromatiche le "apo" avrebbero una correzione delle aberrazioni (soprattutto cromatica e sferica) superiore.

 

Alcune apocromatiche hanno tre lenti, invece di due, ma questo terzo elemento è realmente necessario solo nelle Barlow corte per contenere le aberrazioni extrassiali; ma esistono anche Barlow apocromatiche a doppietto come esistono Barlow acromatiche che funzionano allo stesso livello delle apocromatiche. In definitiva quando si acquista una Barlow è meglio non farsi fuorviare da questi aggettivi e prendere quella che, come discuterò più avanti, meglio si adatta all'impiego che ne verrà fatto.

 

Oltre a queste due categorie, esistono poi degli amplificatori di focale o telextender, impropriamente chiamati Barlow, costituiti da 4 o 5 lenti e commercializzati prevalentemente da Orion, Meade e TeleVue, che correggono quasi completamente le aberrazioni extrassiali e soprattutto eliminano o riducono considerevolmente il problema della vignettatura che si verifica accoppiando una comune Barlow, soprattutto se corta, agli oculari di lunga focale.

 

Di questi amplificatori non mi occuperò qui, ma mi riprometto di dedicarvi un test a parte. Nel seguito considererò invece alcune Barlow commerciali, di vecchia e nuova produzione, abbastanza rappresentative di quanto offre attualmente il mercato di questi accessori:

  • TeleVue 2x
  • TeleVue 3x
  • TS Optics 2.5x apo
  • Orion deluxe 2x
  • Meade 126 2x
  • una Barlow cinese 3x, senza marca, che è commercializzata da diversi rivenditori italiani ed europei e che nel seguito la indicherò come "Cinese 3x". Ne esiste anche una versione 2x che non ho provato.

 

Di queste Barlow, l'unica lunga è la Orion, le altre sono tutte Barlow corte, compresa la TeleVue 3x per i motivi di cui si dirà. La TeleVue 2x, lunga 9.7 cm, sarebbe da collocare tra le Barlow corte.

 

I dati delle Barlow testate sono riportati in Tabella 1. Tutti i modelli sono per oculari da 31.8 mm.

Modello
Amplif.di progetto
Ottica
Coating
Lunghezza
del tubo
(mm)
Lunghezza da inserire
nel portaoculari (mm)
Apertura libera
(mm)
TeleVue 2x
2x
Doppietto acromatico
Mutistrato
97
55
24
TeleVue 3x
3x
Doppietto acromatico
Multistrato
126.5
51.5
24
TS Optics 2.5x
2.5x
Tripletto apo
Multistrato
75.5
29
22.5
Orion Deluxe 2x
2x
Doppietto acromatico
Multistrato
142.5
83
27
Meade 126
2x
Doppietto acromatico
Multistrato
65
22
26
Cinese 3x
3x
Doppietto acromatico
n.d.
84
36
21

Tabella 1 - Caratteristiche tecniche delle Barlow testate

Amplificazione

Come si è accennato sopra, l'amplificazione di una Barlow dipende dalla distanza tra il diaframma di campo dell'oculare e l'elemento divergente, distanza che varia variando l'oculare. Questo è il principio su cui lavoravano le Barlow "variabili", come la vecchia Meade 127 o la Orion variabile, nelle quali il doppietto era montato in una slitta che poteva scorrere all'interno del tubo: variando la posizione della slitta si variava D e quindi il fattore di amplificazione, in genere da 2 a 3.

 

In realtà qualunque Barlow può essere utilizzata in questo modo: è sufficiente interporre tra oculare e Barlow una serie di distanziatori di varia lunghezza e il gioco è fatto. C'è un limite, però, a questa possibilità. I costruttori, infatti, progettano i doppietti (o tripletti, nel caso delle Barlow apocromatiche) in modo che diano la massima correzione delle aberrazioni geometriche e cromatiche per un certo fattore di amplificazione, e utilizzandoli per una amplificazione diversa da quella di progetto, la qualità dell'immagine inizia a scadere, anche se per variazioni di una unità gli effetti delle aberrazioni si possono tranquillamente trascurare, almeno con i telescopi più comuni.

 

La variazione di amplificazione al variare dell'oculare impiegato è tanto più accentuata quanto minore è la lunghezza focale della Barlow. Purtroppo quando si decide di "raddoppiare" il proprio parco oculari con una Barlow non è possibile sapere in anticipo quale sarà il vero fattore di amplificazione, e ci si potrebbe ritrovare con degli ingrandimenti anche molto diversi da quelli attesi.

 

Ciò è dovuto al fatto che il field stop degli oculari non si posiziona esattamente dove il progettista della Barlow lo ha previsto, e al fatto che lo stesso field stop non è sempre alla distanza corretta dalla lente più interna dell'oculare.

 

Ci sono poi altri fattori da considerare, come ad esempio la variazione di lunghezza focale che interviene nella fuocheggiatura dei telescopi catadiottrici a ottiche mobili, e altro ancora. Per dare un'idea di cosa succede impiegando una Barlow con oculari diversi da quelli che il suo ideatore aveva in mente quando l'ha progettata e con telescopi a focale variabile (nella fattispecie un Meade ETX) si veda la Tabella 2, in cui ho riportato per ogni Barlow testata il fattore di amplificazione misurato utilizzando un comunissimo oculare Plössl cinese da 15 mm e un Erfle da 15.5 mm.


Barlow
Amplificazione reale con Plössl 15 mm
Amplificazione reale con Erfle 15.5 mm
Tele Vue 2x
2.5x
2.1x
Tele Vue 3x
3.4x
3.4x
Orion Deluxe 2x
1.6x
2.3x
Meade 126 2x
1.9x
1.9x
TS Optics 2.5x
2.5x
2.2x
Cinese 3x corta
2.9x
2.6x

Tabella 2 - Amplificazioni misurate con diverse lenti di Barlow e un Meade ETX.

 

Il problema della vignettatura

Un problema determinato dall'uso delle Barlow è la vignettatura, riscontrabile in generale con oculari di focale media e lunga. Poiché di solito la Barlow è accoppiata a oculari di focale corta per raggiungere ingrandimenti elevati con strumenti compatti, la vignettatura non si presenta e il field stop dell'oculare appare perfettamente a fuoco come quando lo si utilizza da solo.

 

Quando invece la Barlow serve per poter osservare comodamente ad alto ingrandimento, magari con gli occhiali, senza dover fare ricorso a oculari di corta focale e perciò di estrazione pupillare molto ridotta (è il caso di chi scrive e di tantissimi altri astrofili) allora la faccenda è diversa. Se nell'osservazione planetaria o di stelle doppie il fatto che il campo visivo venga a restringersi un po' non è un inconveniente molto grave, quando si osservano il Sole, la Luna o gli ammassi globulari la vignettattura è fastidiosa, ed è tanto più pronunciata quanto più corta è la focale della Barlow e quanto più elevato è il fattore di amplificazione.

 

Ho testato le Barlow per la vignettatura con diversi oculari, compresi alcuni ad ampio campo e/o alta estrazione pupillare. Due i risultati più interessanti. Per cominciare le TeleVue 2x e 3x vignettano usandole con un ortoscopico giapponese da 25 mm, il che giustifica il fatto di considerarle "corte" pur non essendo reclamizzate come tali.

 

La 3x, vignetta perchè fornisce un'amplificazione superiore alla 2x e la sua focale è ancora insufficiente ad evitare il problema nonostante il tubo sia più lungo di 12 cm. D'altra parte le Barlow corte richiedono un minore aggistamento del fuoco rispetto a quelle lunghe e sono pertanto più indicate per l'utilizzo con i corti rifrattori apocromatici e semiapocromatici prodotti, tra gli altri, proprio da TeleVue.

 

 

L'altro risultato di rilievo (ma anche questa non è una novità) è che le Barlow lunghe non vignettano o lo fanno molto poco: la Orion Deluxe, con lo stesso ortoscopico da 25 mm, mostra ancora il field stop perfettamente definito e soltanto una lieve caduta di luce nei pressi di questo.

 

La conclusione è ovvia: se lo scopo della Barlow è soprattutto la comodità di poter usare oculari di lunga focale anche nelle osservazioni ad alto ingrandimento, meglio orientarsi su quelle lunghe. Nei confronti della vignettatura l'apertura libera delle Barlow, invece, ha meno importanza di quel che si creda (una discussione di questo punto si può trovare in Advanced Amateur Astronomy di G. North, pubblicato dalla Cambridge).

 

Figura 2 - il diaframma interno alla Orion Deluxe

Opacizzazione e lens coating

Tutte le lenti testate sono dichiarate trattate multistrato sulle superfici aria-vetro. Non ho dati per la "cinese" 3x ma immagino che da questo punto di vista sia identica alle altre. Anche l'opacizzazione interna è risultata molto ben curata, e la Orion 2x aggiunge a questa un baffling esteso e un diaframma interno (Figura 2) che blocca molto efficacemente riflessioni e rifrazioni indesiderate.

Aberrazioni

Molti dilettanti, tra cui il sottoscritto, ricordano con disgusto le Barlow cromatiche che quindici o vent'anni fa costituivano la dotazione standard dei rifrattori da 60-80 mm e dei Newton da 114 mm. Si deve a questo triste precedente la diffidenza che ancora oggi molti astrofili (soprattutto osservatori di Luna e pianeti) nutrono nei confronti delle Barlow, preferendo ad esse l'impiego di oculari di corta focale, oggi disponibili anche in progetti ad alta estrazione pupillare.

 

In base alla mia esperienza tale diffidenza non è più giustificata. Non ho infatti riscontrato alcuna differenza tra le immagini planetarie osservate attraverso oculari ortoscopici o Plössl di corta focale e quelle che si ottenevano impiegando oculari altrettanto corretti ma di focale più lunga abbinati ad una lente di Barlow.

 

Anzi, con le Barlow semi-lunghe (tipo le TeleVue) e quelle lunghe le prestazioni fuori asse di alcuni oculari - ad esempio gli Erfle - migliorano decisamente. Con le Barlow corte, invece, alcuni oculari (vedi oltre) mostrano aberrazioni extrassiali sensibili.

 

La recente diffusione di oculari che già incorporano una Barlow nel loro progetto per unire in un solo componente la focale corta, un grande campo apparente e un'estrazione pupillare elevata, non ha frenato l'utilizzo delle Barlow anche con questi oculari, ma occorre tenere presente che l'introduzione di una ulteriore Barlow nel treno ottico, non considerata dal progettista dell'oculare, oltre a poter peggiorare la definizione dell'immagine può anche dare amplificazioni molto diverse da quella nominale.

 

In generale è bene evitare le Barlow molto corte a forte amplificazione (3x o superiore) e utilizzare al loro posto i telextender progettati specificamente per contenere le aberrazioni extrassiali.

 

A titolo esemplificativo di uso "spinto" delle lenti di Barlow con oculari di focale molto lunga e degli effetti conseguenti, riporto qui sotto i risultati della prova di alcune di esse nell'osservazione lunare con un oculare Baader Aspheric da 36 mm di focale, dopo aver applicato a quest'ultimo il riduttore da 31.8 mm, che restringe il campo apparente originario da 72° a circa 55°:

 

  • con la Barlow TeleVue 2x il campo rimane perfettamente definito, non si riscontra cioè vignettatura. L'immagine della Luna è nitidissima fino al bordo del campo, ma si nota un po' di luce diffusa
  • con la TS Optics 2.5x i risultati sono analoghi a quelli ottenuti con la Tele Vue, immagine molto bella e perfettamente corretta fino al bordo
  • con la TeleVue 3x si nota una certa vignettatura ma soprattutto un fastidioso effetto di parallasse
  • con la Meade 126 l'immagine lunare è fortemente degradata verso il bordo del campo
  • stesso problema con la cinese 3x cui si aggiunge un notevole effetto di parallasse.

 

L'effetto di parallasse e la vignettatura negli oculari a lunga focale aumentano all'aumentare dell'amplificazione e dipendono sostanzialmente dallo spostamento della posizione della pupilla d'uscita rispetto a quella di progetto senza la Barlow. Questo inconveniente si nota maggiormente con gli oculari di tipo classico, a quattro o cinque lenti e viene risolto impiegando i telextender appositamente progettati a questo scopo.

 

Particolarmente evidente è la degradazione delle prestazioni fuori asse delle Barlow corte con alcuni oculari a elevata estrazione pupillare. Provando ad esempio la Barlow cinese 3x con un LET 25, l'immagine risultante era inaccettabile, e lo stesso oculare impiegato con la Orion 2x benché fornisse una buona immagine dava però un'amplificazione di 2.6x, decisamente lontana da quello di progetto.

Contrasto

Il principale impiego delle lenti di Barlow è costituito dall'osservazione ad alto ingrandimento della Luna, dei pianeti e di stelle doppie e ho quindi effettuato un test di contrasto - al centro del campo visivo - avente per oggetto Giove e Saturno, condotto utilizzando un oculare ortoscopico giapponese da 12,5 mm di focale.

 

Dal punto di vista dell'osservazione planetaria le prestazioni delle Barlow che ho provato sono molto livellate e trovare tra esse qualche differenza significativa è equivalso alla proverbiale ricerca del pelo nell'uovo. Non ho quindi stabilito una graduatoria di merito, anche perché per differenze di prestazioni così sottili il rischio di inciampare in errori di aspettativa è molto alto.

 

L'unica cosa che posso affermare è che per l'osservazione di astri poco estesi ad alto ingrandimento, tutte le Barlow provate si sono dimostrate molto valide.

Praticità

La lunghezza e il peso dei tubi delle lenti di Barlow variano notevolmente da un modello all'altro, tanto che non esistono due Barlow esattamente identiche. Anche se si tratta di accessori leggeri che da soli non richiederebbero di ribilanciare il tubo ottico, occorre tenere presente che richiedono però una certa escursione del fuoco verso l'esterno, e quindi se impiegate con oculari pesanti potrebbero costringere a ritoccare la bilanciatura dei rifrattori.

 

Le Barlow lunghe, inoltre, pongono problemi di assialità col fuocheggiatore. Se si impiega un fuocheggiatore con serraggio a una o due viti è infatti necessario che entrino fino alla battuta, altrimenti è necessario che l'estremità del portaoculari o del diagonale siano in grado di stringere il tubo della Barlow senza disassarlo anche nel caso di inserimento parziale (nel catalogo Baader Planetarium, ad esempio, si trovano diversi portaoculari con queste caratteristiche).

Quale scegliere?

Le Barlow qui descritte sono risultate tutte di buona qualità e in grado di poter essere utilizzate con soddisfazione nell'osservazione visuale della Luna, dei pianeti e di stelle doppie, con le varie limitazioni di cui si è detto, imposte non tanto dall'accuratezza di costruzione quanto dalle caratteristiche progettuali.

 

Le loro prestazioni sono in tutto simili a quelle di altri prodotti concorrenti e rivenduti sotto altre marche. Se dodici anni fa quando scrissi il test delle lenti di Barlow per Coelum n. 7 (marzo 1998) le mie preferenze andavano nettamente alle TeleVue, oggi non mi sentirei di affermare che tra queste e le altre esiste una differenza sensibile in termini puramente qualitativi: lo spostamento delle produzioni ottiche in Cina e in altri paesi dell'estremo oriente e l'esperienza acquisita dai costruttori ha ormai livellato verso l'alto la qualità della maggior parte degli accessori ottici.

 

Differenze significative possono essere il frutto di differenze nei progetti, com'è il caso degli oculari grandangolari, ma le Barlow classiche sono tutto sommato degli accessori molto semplici e non presentano particolari problemi progettuali.

 

Le differenze più vistose sono in definitiva dovute essenzialmente alla focale, e da questo punto di vista le Barlow lunghe, purtroppo sempre più rare, sono forse da preferire per la maggiore correzione delle aberrazioni fuori asse e per la possibilità di essere usate anche con oculari di lunga focale con una vignettatura minima o nulla.

 

Per questo motivo, riassumendo i risultati della prova, la mia Barlow preferita è risultata la Orion Deluxe 2x, nonostante la relativa scomodità di impiego dovuta alla lunghezza del tubo.

 

La scelta di una Barlow va quindi effettuata soprattutto sulla base di considerazioni relative all'uso che se deve fare con il telescopio o i telescopi a disposizione. Se si desidera impiegarla prevalentemente con un diagonale, ad esempio, converrà sceglierne una corta che entri fino alla battuta: coi diagonali da 2 pollici questo non è quasi mai un problema, perché lo specchio è distante dall'estremità portaoculari, mentre con quelli da 31.8 mm, soprattutto se prismatici, talvolta non è possibile: l'unica che ci riesce sempre è la Meade 126, che però offre buone prestazioni soltanto sull'asse ottico essendo stata progettata specificamente per gli ETX perchè entra nel fuocheggiatore fino alla battuta e quindi non si inclina stringendo la vite di blocco.

 

Un altro parametro da considerare è l'escursione del fuocheggiatore, che potrebbe essere insufficiente e richiedere delle prolunghe. Se la Barlow è destinata a fungere da amplificatore di focale per l'imaging CCD è meglio che sia progettata a questo fine, che sia cioè di tipo fotovisuale, perchè il sensore non viene a trovarsi nella posizione corrispondente all'amplificazione dichiarata e ciò potrebbe introdurre delle aberrazioni indesiderate.

 

Infine, gli osservatori di astri estesi come il Sole e la Luna dovrebbero evitare le Barlow troppo corte e prestare particolare attenzione all'opacizzazione e al baffling per limitare il più possibile la presenza di luce diffusa e riflessi parassiti.


Raffaello Braga (raffaello.braga@yahoo.com)